Paura

I militari pattugliano le nostre strade, presidiano gli obiettivi “sensibili”. I rom vengono “censiti”. I giornali calpestano la vita reale e ci offrono quella della paura, dell’insicurezza, dell’angoscia. Dobbiamo metterci al sicuro dallo straniero, dal diverso ma anche da chi ragiona, da chi si oppone. I grandi della terra giocano con la nostra vita a colpi di prime rate, subprime, crisi petrolifere, guerre giuste.

La propaganda dell’insicurezza imperversa in ogni messaggio, in ogni articolo, in ogni intervista.

La paura è e sarà la nuova risposta globale per la crescita dei consumi e il rilancio delle economie occidentali. Forse in molti hanno ormai capito che nel mondo globalizzato, dove la Politica sempre meno può fare (ammesso ne abbia le intenzioni) per orientare l’Economia, l’unica risposta è far leva sulla paura e sull’incertezza.

Chi ha paura vive per l’oggi, consuma adesso, risparmia di meno per un futuro che tanto è sempre più incerto. La paura collettiva è terreno fertile per nuove guerre (giuste?), per l’incremento delle spese militari, per campi di detenzione di staliniana memoria, per la legittimizzazione delle torture, per l’assenza di processi.

E tutto questo non muove l’economia? Non concede profitti inaspettati alle grandi major del mercato mondiale? Non è il brodo in cui sguazzano i numerosi caimani della finanza?

Ma la paura ha conseguenze anche più negative, perché diffuse e ormai sempre più collettive. Ci sottrae un sorriso, ci fa allungare il passo se qualcuno ci chiede qualcosa, ci priva della capacità di ascoltare, non solo i “diversi”, ma anche i nostri “simili”. La paura blocca i sentimenti e tarpa le emozioni, ci restringe la vita, circoscrive sempre di più il nostro mondo.

Allora, quanti punti di prodotto interno lordo siamo disposti a pagare per tutto questo?

Mio fratello

Mio fratello è, secondo il punto di vista di noi “normali”, un ragazzo sfortunato, ingiustamente punito da una sanità sempre troppo distratta. Negli anni ‘60, con la ruvidità che caratterizzava quel tempo, sarebbe stato definito un ritardato, un subnormale; oggi, anche se con qualche vena di sottile ipocrisia, le persone come lui sono chiamate “diversamente abili”.

Ma non è di come la società affronta questi temi su cui voglio riflettere, quanto piuttosto di come io abbia vissuto il mio rapporto con lui. È un argomento difficile da affrontare in poche righe, è un tema doloroso che ti mette a nudo, è anche qualcosa che può essere facilmente equivocato perché coinvolge sentimenti, affetti, convenzioni sociali, educazione, valori.

Ma voglio provarci lo stesso, anche perché insieme abbiamo vissuto un’esperienza per me intensa, nuova e appagante.

Nel periodo di vita familiare il mio rapporto con lui è stato conflittuale, un po’ perché specchio del naturale conflitto con i genitori, un po’ perché io, figlio normale, ho subito la sua spesso ingombrante presenza e in più anche l’incomprensione dei miei genitori. Ma soprattutto, lo voglio dire senza difese e ipocrisie, perché mi era difficile accettarlo.

Con il tempo questo conflitto si è via via ridotto, ma non è mai scomparso del tutto.

In quest’anno di grandi trasformazioni e riflessioni ho sentito il bisogno di ricostruire qualcosa che ho sempre iniziato, mai terminato e spesso demolito. Ci siamo allora concessi una breve vacanza insieme, solo noi due, sufficientemente lontano da casa, ma soprattutto lontano dalle sue abitudini, dai suoi ruoli, dalle sue piccole manie; ed io lontano dalle mie paure, dai miei pregiudizi, dalle mie viltà.

Un primo risultato l’ho ottenuto vincendo la sua iniziale e legittima diffidenza. Poi questa esperienza insieme è trascorsa via leggera, senza conflitti e con momenti di grande intimità. Forse anche perchè, per la prima volta, sono riuscito a “vederlo” come persona e non solo come fratello, come una risorsa e non come un limite, a riconoscere le sue esigenze molto simili alle mie, a comprendere le sue frustrazioni.

Ho poi trovato la gioia nella sua felicità, ho riconosciuto l’allegria nelle sue risate, ho goduto della sua tranquillità nel rapportarsi insieme a me al mondo, mi sono commosso per i suoi abbracci spontanei e riconoscenti. Anche adesso, ripensandoci e scrivendo, una lacrima di gioia mi fa un’immensa compagnia.

Abbiamo fatto cose insieme, nuotato, mangiato, dormito, ma anche respirato e vissuto insieme per giorni, come mai era accaduto prima. Ma la gioia più grande, ancora con la sua splendida e invidiabile innocenza, me l’ha data chiedendomi: “Quand’è che ci ritorniamo?”. Che soddisfazione!

Credo che anche lui sia soddisfatto di questi giorni passati insieme e che sia felice, almeno quanto me, di aver vissuto un breve frammento di vita con un nuovo amico.

Ora mio fratello sta dormendo sereno, dopo un’altra intensa giornata in cui non ci siamo risparmiati niente. Ti abbraccio fratellone mio, forse il mio smarrimento sta passando e quello che sei stato capace di darmi in questi giorni mi aiuterà finalmente a ritrovarti.